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ToggleAttenzione: questo articolo ha un alto contenuto calorico e può causare salivazione e prenotazioni compulsive al ristorante giapponese. Si raccomanda di leggere con prudenza.
Caratteristiche generali della cucina giapponese
La gastronomia giapponese (washoku 和食) è così ricca da valere, da sola, le 12 ore di volo per Tokyo.
La pensa così anche l’UNESCO, che nel 2013 l’ha dichiarata patrimonio culturale immateriale dell’umanità.
Questa ricchezza deriva in parte dalla varietà geografica: la forma allungata del Paese e i suoi ambienti diversi permettono di trovare ingredienti di ogni tipo.
Nella storia della gastronomia giapponese, poi, si sono alternati periodi di introduzione di elementi esterni ad altri di rielaborazione originale. In una prima fase, il Giappone ha assorbito cibi e usi della cultura alimentare continentale, soprattutto cinese. In un secondo tempo li ha riorganizzati in base ai propri gusti. Questo è successo in particolare nel periodo Edo (1603-1868), in cui il Paese ha chiuso i propri confini al resto del mondo. A fine Ottocento è iniziata una terza epoca che ha visto l’introduzione di piatti occidentali, anche loro interpretati in chiave giapponese ed entrati a far parte della quotidianità.
Nel washoku hanno grande importanza:
– la freschezza
– la stagionalità
– il taglio
L’intento principale della cucina è valorizzare i sapori naturali, non modificarli: per questo è importante che gli ingredienti siano di ottima qualità.
Il pasto base segue la regola dell’ichiju sansai: una zuppa e tre contorni, più il riso e gli tsukemono (ortaggi in salamoia). In questa formula, tutti i piatti vengono serviti nello stesso momento: non esistono le portate.
Elementi base
Riso
Il riso è un ingrediente cardine della cucina e della cultura giapponese. Lo testimonia anche la varietà di termini usati per indicarlo: ine si riferisce alla pianta, kome al riso crudo e gohan al riso bollito, ma vuole anche dire semplicemente “pasto”. In passato il riso misurava la ricchezza e veniva usato per pagare le imposte.
Di solito viene consumato bollito e senza alcun condimento, dato che serve per accompagnare i contorni.
Zuppe
L’altro elemento immancabile dell’ichiju sansai è la zuppa, cioè lo shirumono (汁物). Il tipo più diffuso è il famosissimo misoshiru (味噌汁), una zuppa a base di brodo, miso (味噌, una pasta di soia fermentata) e ingredienti di stagione.
Dashi
Il dashi (出汁) è un brodo limpido, e anche se non è un piatto a sé stante, è la base di tantissime ricette giapponesi.
Il suo scopo principale è estrarre l’umami da alcuni cibi e trasferirlo nel piatto finale.
Ma che cos’è l’umami? Si tratta del “quinto sapore” (gli altri sono dolce, acido, salato e amaro) scoperto a inizio Novecento da uno scienziato giapponese. Indica la sapidità, la caratteristica conferita dal glutammato di sodio.
In Giappone, dove la religione ha a lungo limitato il consumo di carne, gli ingredienti principali per il brodo erano le alghe kombu e il katsuobushi, un tonnetto che viene bollito, affumicato ed essiccato fino a diventare durissimo.
Menrui
La parola “men” (麺) indica i “noodle”, cioè vari tipi di pasta lunga a base di farina e acqua.
Le varietà principali sono:
– Soba (そば): specie di lunghi tagliolini di grano saraceno (spesso viene aggiunto il 20% di grano tenero per facilitare la lavorazione). Si possono consumare freddi o caldi, oppure alla piastra (yakisoba).
– Udon (うどん): sono dei noodle spessi ed elastici a base di farina di grano. Anche gli udon si possono mangiare caldi o freddi, nonché alla piastra (yakiudon) o immersi in vari tipi di brodo condito.
– Ramen (rāmen ラーメン): si tratta di noodle di origine cinese introdotti a inizio Novecento e rivisitati in chiave giapponese. Sono preparati con farina di grano e acqua alcalina, che rende la pasta elastica e le conferisce il caratteristico colore giallognolo. Si mangiano in un brodo saporito condito con vari ingredienti, come salsa di soia, sale, maiale (tonkotsu) o miso.
Tofu
Il tofu (tōfu 豆腐) si produce facendo cagliare la spremitura delle fave di soia con il nigari, cioè con ciò che resta dall’evaporazione dell’acqua marina una volta estratto il sale (spoiler per piccoli chimici: principalmente cloruro di magnesio). Era usato soprattutto nei templi zen, dove si seguiva un’alimentazione più strettamente vegetariana e c’era quindi bisogno di trovare fonti di proteine non animali.
Carne
Anche se non è mai sparito del tutto, il consumo di carne rossa in Giappone è stato a lungo proibito su basi religiose. Il buddhismo, infatti, vieta di togliere la vita ad altri esseri viventi, e nello shintoismo il contatto con il sangue e la morte è considerato impuro.
I giapponesi hanno quindi iniziato a mangiare carne solo a fine Ottocento, quando il Paese ha iniziato a occidentalizzarsi. La vera crescita dei consumi è avvenuta comunque a Novecento inoltrato.
Oggi la carne considerata migliore è quella con sottili venature di grasso (marezzata).
Pesce
Visto il divieto di mangiare carne, che però si riferiva principalmente ai quadrupedi, il pesce e i frutti di mare sono stati a lungo l’unica fonte di proteine animali della dieta giapponese. Non c’è quindi da sorprendersi se occupano un posto d’onore nella cucina nazionale.
Il sushi (寿司) è nato nell’VIII secolo come metodo per conservare il pesce facendolo fermentare. Si chiamava nare-zushi ed esiste ancora oggi. Il pesce crudo veniva disposto in grandi contenitori alternandolo a strati di riso bollito, e il tutto veniva pressato e conservato per mesi.
Alla fine del XVII secolo è nato lo haya-zushi, cioè il sushi rapido. Il sapore acidulo non si otteneva più dalla fermentazione, ma aggiungendo dell’aceto al riso, e il pesce era marinato o condito.
Il sushi moderno è comparso a inizio Novecento a Edo (l’attuale Tokyo) col nome di nigiri-zushi o edomae-zushi. Si trattava di sushi “modellato a mano”, che manteneva l’aceto nel riso ma usava il pesce crudo con l’aggiunta di un tocco di wasabi.
All’inizio era una forma di fast-food per i manovali della capitale: veniva venduto dalle bancarelle e si mangiava in piedi, senza bacchette.
Il sashimi (刺身), invece, è l’incarnazione degli ideali della cucina giapponese: un piatto con ingredienti freschi, sapori non alterati dalla cottura e dove il taglio ha un ruolo centrale. Si tratta di fette sottilissime di ingredienti crudi, solitamente pesce, da intingere in una salsa per esaltarne il sapore.
Metodi di cottura
La cucina giapponese prevede 4 metodi principali di cottura.
1) Yakimono (焼き物): cibi grigliati
La cottura può avvenire per contatto diretto su una superficie molto calda o per irraggiamento di calore. Tra i piatti più rappresentativi troviamo:
– Teriyaki: carne, pesce o verdure grigliati e glassati con salsa di soia e mirin (una specie di sakè meno alcolico e più dolce)
– Yakiniku: manzo alla griglia.
– Yakitori: i classici spiedini di pollo. In Giappone si usano anche le interiora, la pelle e il collo.
2) Mushimono (蒸し物): cibi al vapore
La cottura al vapore ha origini antiche: in un Paese come il Giappone, l’aria calda e umida era naturalmente fornita dalle acque termali.
Questa categoria spazia dal dolce al salato. Un esempio è il chawanmushi, un budino salato con brodo e ingredienti stagionali.
3) Nimono (煮物): stufati
Si tratta di cibi fatti cuocere lentamente in un liquido a base di brodo. La parte liquida si può lasciare nel piatto finale, far assorbire dal cibo o lasciar evaporare. Si consumano principalmente in inverno.
Possiamo inserire in questa categoria anche i nabemono (鍋物), cioè i cibi cotti in un’unica pentola condivisa in mezzo al tavolo. Appartengono a questo gruppo diversi piatti a base di carne:
– Shabu shabu: una specie di fondue bourguignonne in cui ogni partecipante immerge per pochi secondi delle fette sottilissime di manzo o altri ingredienti nel brodo bollente, per poi intingerle in diverse salse.
– Sukiyaki: un mix di manzo, tofu e ortaggi cucinati nella pentola centrale e intinti nell’uovo crudo.
4) Agemono (揚げ物): cibi fritti
La cucina giapponese è tradizionalmente povera di grassi e oli. La frittura esisteva già nell’VIII secolo, ma gli oli vegetali erano rari e preziosi.
L’influenza della gastronomia cinese e di quella portoghese (arrivata con i missionari nel XVI secolo), prima, e di quella più genericamente occidentale, poi, ha però introdotto dei piatti che sono diventati emblematici.
Il più famoso è sicuramente il tempura (tenpura 天ぷら), che sembra risalire proprio ai portoghesi. Si prepara infarinando verdure, crostacei o pesci in una pastella a base di acqua, uova e farina. Nell’epoca Edo (tra XVII e XIX secolo), il tempura era un cibo di strada: si mangiava in piedi infilzando gli ingredienti su uno spiedo.
Dolci
Siccome non esistono le portate, nei pasti quotidiani non è previsto il dessert. Questo non significa che in Giappone non si trovino specialità anche per chi è betsubara, cioè per chi ha uno stomaco separato per i dolci.
Gli ingredienti base di molti dolci giapponesi (detti wagashi 和菓子), sono il mochi (餅) e l’anko (餡子).
Il mochi è un impasto di riso glutinoso, spesso lavorato in forma arrotondata.
L’anko, invece, è una marmellata di fagioli rossi (azuki) e zucchero.
Il dolce più semplice e classico è il daifuku: una polpetta di mochi ripiena di anko.
Lo stesso ripieno si trova nei dorayaki, i famosi pancake soffici di cui è ghiotto Doraemon.
Street-food
In Giappone, di solito, mangiare mentre si cammina è segno di maleducazione. Esistono però numerose eccezioni, soprattutto durante i festival, quando le strade sono inondate dai profumi invitanti delle yatai (bancarelle).
Il momento d’oro del cibo di strada è stato probabilmente l’Ottocento, quando la capitale brulicava di operai indaffarati che avevano appena il tempo per un pasto veloce. All’epoca anche il sushi, il tempura e i noodle erano serviti e consumati al volo, magari in piedi.
Nel Novecento, con l’influenza occidentale, sono nati e si sono diffusi vari tipi di piatti cotti alla piastra (yakimono), perfetti per essere consumati per strada.
I più famosi sono sicuramente i takoyaki, le polpette di polpo nate a Osaka nel secolo scorso e diventate il simbolo dello street food giapponese.
Altrettanto diffusi sono gli okonomiyaki, delle specie di frittate miste con gli ingredienti più disparati che possono essere consumate sia al ristorante che alle bancarelle.
Ci sono poi gli yakisoba, dei noodle di grano tenero saltati alla piastra con verdure e/o carne. Anche questi si possono mangiare sia nei ristoranti che per strada.
Nel settore dolciario, oltre ai già citati dorayaki, abbiamo anche i taiyaki, che sono molto simili ma hanno la forma di un’orata (tai).
Un piatto più semplice, ma amatissimo, è la yakiimo, la patata dolce arrostita che nei mesi freddi viene servita da venditori ambulanti annunciati da un’inconfondibile melodia.
Questa lunga carrellata ha appena scalfito la superficie della gastronomia nipponica. Con la più alta densità al mondo di ristoranti per abitante, il Giappone ha tantissimo da offrire anche ai palati meno avventurosi. Provare per credere!