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ToggleProbabilmente sei a conoscenza del fatto che in Giappone ci si saluti con un inchino (ojigi おじぎ), così come avrai sentito che la stretta di mano non è un’abitudine diffusa quanto in Occidente.
In questo articolo scoprirai il significato dell’inchino, quando e come usarlo, oltre a imparare le parole basilari per salutarti con gli amici o al lavoro.
Che cosa significa l’inchino nella cultura giapponese e quando si usa?
In passato, durante il periodo Kamakura (1185-1333) l’ojigi era usato in ambito cerimoniale, ma con il tempo è diventato una prassi non solo per salutarsi, ma anche per ringraziare, per esprimere cordoglio, per scusarsi o come commiato. Viene usato anche in ambito religioso, quando si pregano le divinità.
ℹ️ Possiamo affermare che agli occidentali, in un contesto lavorativo e internazionale, l’inchino non è strettamente richiesto, perché anche i giapponesi sono discretamente abituati alla stretta di mano. Tuttavia è sicuramente sempre apprezzato, oltre a evitare qualsiasi tipo di disagio. Pertanto è bene conoscerlo nella pratica.
In generale ricordati di non esprimere calorosità con abbracci, baci o simili: metteresti sicuramente in imbarazzo il tuo interlocutore, non abituato a un contatto fisico così deciso. Lo stesso vale per le effusioni amorose, che di solito non vengono scambiate in pubblico. È più comune tenersi semplicemente per mano.
Come ci si inchina?
Quando ti inchini, rispetta la posizione: le braccia vanno distese lungo al corpo (solitamente per gli uomini) oppure davanti (generalmente per le donne), quindi con le gambe dritte fletti leggermente il busto in avanti (senza esagerare!).
Rendere visibili le mani significa che non si hanno cattive intenzioni (è così anche nella nostra cultura, quando ci si saluta).
Volendo essere precisi, il grado di curvatura dell’inchino ha un ventaglio di significati:
• un inchino poco profondo (eshaku 会釈), a circa 15 gradi, si usa per un saluto quotidiano rivolto a un collega, a un amico o a un conoscente.
• un’inclinazione maggiore del busto, a circa 30 gradi (keirei 敬礼), corrisponde a saluto di riguardo, da usare quando mostriamo rispetto verso un superiore.
• un inchino molto pronunciato e prolungato, quasi a 45 gradi (saikeirei 最敬礼), si usa verso un’autorità, quando ci si separa, o per i ringraziamenti finali. Esprime il massimo rispetto. Difficilmente ci saranno situazioni nelle quali dovrai usarlo, a meno che tu non abbia un incontro con l’imperatore!
Ci sono poi altre variabili agli estremi:
• l’inchino da seduto in posizione seiza (“sedersi in modo corretto”), utilizzato nelle arti marziali e durante la cerimonia del tè.
• mokurei 目礼, un semplice cenno del capo, usato per familiari e per le persone con cui si ha un alto grado di confidenza.
• dogeza 土下座, che esprime un pentimento profondo e si usa quando si è commesso qualcosa di grave oppure per chiedere un favore molto importante. La posizione è con le mani a terra e la testa molto bassa, decisamente umiliante.
ℹ️ Talvolta noterai con stupore che gli addetti ai lavori, specialmente negli esercizi commerciali e nei locali pubblici, ti faranno diversi inchini, oppure, soprattutto nei ristoranti di livello, il cameriere, il cuoco e parte dello staff potrebbero uscire accompagnando il cliente e persistendo nell’inchino di commiato fino a quando questo non scompare alla vista.
Qualora tu voglia ricambiare, puoi farlo. Basta abbozzare un inchino o semplicemente fare un sorriso, che sarà gradito. Tuttavia, di norma, il cliente giapponese non ricambia questa attenzione, a meno che non ci sia un certo grado di confidenza.
I saluti verbali e i saluti informali
Abbiamo visto come il grado d’inclinazione, la durata e anche il numero degli inchini possa variare a seconda della situazione e della persona che abbiamo di fronte. Facciamo ora un breve excursus sulle parole utili in queste occasioni.
• Al mattino presto dirai: “Ohayō gozaimasu” (abbreviato ohayō).
• Il nostro “buongiorno” viene tradotto con konnichiwa, che in diversi casi assume una connotazione simile al nostro “ciao”.
• Quando è sera, “buonasera” si dice konbanwa, e prima di dormire diremo: “Oyasumi nasai” (abbreviato oyasumi), “buonanotte”.
• Non esiste un corrispettivo vero e proprio del nostro “ciao”, ma se lo dirai ti capiranno senza problema!
Piuttosto, in modo più confidenziale, si può dire: “Dōmo”.
Quando ci si saluta tra colleghi alla fine di una giornata lavoro, ma anche dopo un’attività tra amici, non potrà mancare otsukare sama deshita (abbreviato otsukare), traducibile come “grazie per l’impegno”. Serve a esprimere gratitudine verso una persona che sta compiendo o ha terminato un lavoro (anche se non lo si è svolto insieme), esprimendo apprezzamento per l’impegno, la partecipazione e gli sforzi compiuti. Si usa anche per salutare chi ha finito di lavorare.
Altre parole che sentirai spesso saranno mata ne! (“a presto!”, “ci vediamo!”), mata ashita (“a domani”) o ancora ki wo tsukete! (“abbi cura di te”), usato quando ci si congeda.
Sayōnara vuol dire “arrivederci”, ma ha un senso più simile all’addio o comunque si usa quando non si è sicuri di rivedersi in breve tempo.
Un’ultima cosa che è bene conoscere quando si è in una casa privata o anche in un ryokan (locanda giapponese) riguarda l’uso di parole specifiche in base a “chi resta” e “chi va”.
Quando usciremo, diremo a chi rimane in casa: “Itte kimasu” (“Vado e torno presto”) e ci risponderanno: “Itte rasshai” (“Vai e torna presto”). Al rientro, noi diremo: “Tadaima” (“Sono tornato”) e in risposta ci diranno: “Okaeri nasai” (abbreviato: “Okaeri”, “Bentornato”).
A volte bastano poche istruzioni e semplici gesti per risultare educati agli occhi dei giapponesi, ed è questa l’ottica in cui si muove un viaggiatore attento.
Adesso che hai le basi, puoi iniziare a mettere in pratica queste nuove conoscenze ed essere un po’ più giapponese. Tieni presente che con il tempo probabilmente l’inchino diventerà automatico e inconsciamente lo farai anche al rientro dal viaggio!