Stampa che ritrae due lottaori di sumo sul ring con arbitri

Sumo: guida rapida all’arte marziale più particolare del Giappone

Il sumo è lo sport più emblematico del Giappone. Le regole sono semplici: per vincere, basta spingere l’avversario fuori dal cerchio sul ring o fargli toccare terra con qualsiasi parte del corpo che non sia la suola dei piedi.

In Giappone, però, niente è più complicato delle cose semplici. Ma basta scoprire anche solo qualche dettaglio per capire cosa rende così affascinante il sumo e godersi al meglio un match!

Innanzitutto, in quanto arte marziale, il sumo si basa su tre principi: cuore (心), spirito/energia (気) e corpo (体). Ogni lottatore deve salire sul ring con un cuore calmo, un corpo allenato e focalizzando la propria energia.

Questa disciplina affonda le radici nelle cerimonie shintoiste. Ancora oggi le parti rituali occupano di gran lunga più tempo degli scontri, che solitamente si concludono in pochi secondi.

A costo di renderlo impopolare, bisogna poi specificare che si tratta di uno sport esclusivamente maschile, tanto che le donne non possono nemmeno salire sul ring.

Breve storia del sumo

Nonostante il sumo sia uno sport antichissimo e oggi goda di grande prestigio in Giappone, le sue sorti sono state altalenanti.

In antichità era legato a cerimonie shintoiste per il raccolto in cui si pregava per l’abbondanza e la pace. Inizialmente era uno strumento di divinazione: in base a chi vinceva lo scontro si capiva come sarebbero andate pesca e agricoltura. Questa parte più sacra traspare ancora oggi nelle cerimonie e nei gesti rituali che costellano i tornei.

Dall’VIII al XII secolo il sumo diventò popolare presso la corte imperiale, acquistando sempre maggiore importanza. Si sviluppò quindi anche come forma di intrattenimento e divenne un evento regolare nel calendario di corte.

Con il declino dell’autorità imperiale nel XII secolo, il sumo cambiò pelle e passò a essere una disciplina per l’addestramento dei samurai, nonché una forma di intrattenimento per il popolo e i signori feudali (daimyō). Dal 1240 circa, per 300 anni perse la sua funzione centrale nei riti shintoisti.

Nel periodo Edo (1603-1867) iniziarono a tenersi scontri di sumo su invito dei templi per raccogliere fondi destinati a opere di riparazione e ampliamento.

Col tempo, però, i lottatori iniziarono a praticare anche senza invito dei templi, scontrandosi per soldi. Siccome non c’era ancora una vera e propria organizzazione, agli eventi partecipavano molti ronin (samurai rimasti senza padrone) e malviventi che spesso finivano per azzuffarsi. La situazione diventò così grave che nel 1648  il sumo venne bandito a Edo (l’attuale Tokyo), Kyoto e Osaka. Anche se rimase vietato per 30 anni, la passione della gente non diminuì: quando cadde il divieto il sumo era ancora popolarissimo. Per evitare liti e nuovi divieti, i lottatori professionisti si organizzarono, stabilirono una serie di mosse consentite e introdussero l’uso del ring. Nel 1800 la transizione da evento di beneficienza ad attività professionale era così completa.

Il periodo Meiji (1868-1912), quando il Giappone si aprì all’occidente dopo quasi tre secoli di isolamento, segnò un’epoca di stagnazione:  non c’erano più i daimyō che promuovevano gli eventi e il governo, deciso a compiacere e imitare gli occidentali, iniziò a vedere il sumo come un barbaro teatrino di gente nuda, accarezzando anche l’idea di proibirlo. Risale infatti a questi anni una legge contro la nudità che ebbe ripercussioni anche sulla cultura dei tatuaggi.

Grazie anche al sostegno dell’imperatore, però, la tradizione non morì: il sumo riuscì a rinascere e a svilupparsi nella disciplina organizzata e prestigiosa che è oggi.

Due lottatori di sumo in perizoma si spintonano mentre l'arbitro vestito di verde li osserva

Struttura e organizzazione

Come abbiamo anticipato, pur essendo una disciplina apparentemente semplice, il sumo è minuziosamente codificato e organizzato.

Il ring su cui salgono i rikishi (lottatori) si chiama dohyō ed è una piattaforma di argilla delimitata da balle di paglia di riso. Questa struttura viene ricostruita per ciascun torneo e ogni volta, alla vigilia dei primi incontri, si tiene una cerimonia per purificarla. Nel centro del ring vengono seppelliti noci di kaya (torreya nucifera), castagne, seppie e alghe essiccate, riso e sale.

I rikishi appartengono a una palestra (heya) in cui spesso vivono e in cui passano comunque la maggior parte della giornata. 

A differenza del pugilato, i lottatori non vengono suddivisi in categorie in base al peso, ma in classi di merito basate sui risultati. Le due massime categorie sono Jūryō e Makuuchi, e vengono indicate collettivamente col nome di Sekitori

La categoria di appartenenza non influisce solo sullo svolgersi dei tornei, ma anche su un’infinità di aspetti della vita quotidiana: l’ordine in cui si fa il bagno e si mangia nella palestra, cosa si può indossare (anche i colori e i materiali, nonché le calzature e il tipo di ombrello!) e l’acconciatura. 

All’apice della categoria più importante, la Makuuchi, si trovano gli Yokozuna.

Yokozuna è il massimo titolo a cui può aspirare un lottatore, ma non si conquista semplicemente in base alle vittorie: per ottenerlo bisogna essere l’incarnazione dei tre principi di “cuore, spirito e corpo” sia dentro che fuori dal ring. In compenso, una volta vinto, il titolo non si può perdere. Dal 1789 a oggi se ne sono potuti fregiare solo 72 rikishi.

Sul dohyō, oltre ai lottatori, è sempre presente anche l’arbitro, ben visibile nel suo abito di corte Heian, il cappello da sacerdote shintoista e il ventaglio. Come i lottatori, anche gli arbitri sono divisi in livelli, riconoscibili in base al colore delle nappe (intorno a maniche, cintura e collo) e alle calzature.

Nel sumo, persino i parrucchieri dei lottatori sono divisi in ben sei livelli. Pare che per arrivare a fare un ooichōmage, l’acconciatura che solo i lottatori più forti possono sfoggiare, servano almeno 4 o 5 anni di apprendistato!

Qualunque pasto consumato dai rikishi viene chiamato “chanko”, che sia una pizza o una zuppa. Il piatto tipicamente associato al sumo, però, è la chanko-nabe, una specie di stufato misto di carne e verdure. Nel sumo, il pollo viene considerato un animale fortunato perché, come un bravo lottatore, sta sempre su due zampe e non tocca mai terra con le “mani”. Per lo stesso motivo, bovini e suini (che toccano il suolo con quattro zampe) sono considerati di cattivo auspicio, tanto che alcune palestre non li servono ai propri rikishi durante i tornei. La chanko-nabe non ha una ricetta specifica. L’importante, ovviamente, è che sia molto sostanziosa.

Al piano interrato del Kokugikan, lo stadio del sumo di Tokyo, c’è un’area ristorazione dove si può assaggiare questa specialità da campioni.

Arbitro di sumo in abiti dorati con alle spalle un lottatore con perizoma viola
Foto: Ian Kennedy, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons

Quanto pesa un lottatore di sumo?

È una domanda che spesso ci si fa osservando i lottatori sul ring. Come abbiamo detto, il peso non è un fattore nella decisione delle categorie. Ovviamente il peso aiuta negli incontri, ma va completato da una sana dose di muscoli e flessibilità. I lottatori sono in verità molto muscolosi.

Detto questo, i rikishi pesano in media tra i 100 e i 150 kg, ma alcuni superano addirittura i 200 kg!

Come vedere un torneo di sumo e dove comprare i biglietti?

Il torneo professionale ufficiale (Honbasho) dura 15 giorni e si svolge sei volte l’anno: tre a Tokyo (gennaio, maggio, settembre), una a Osaka (marzo), una a Nagoya (luglio) e una a Fukuoka (novembre).

Lo stadio di Tokyo, il più famoso, si chiama Ryogoku Kokugikan e si trova non molto lontano da Akihabara, sull’altra sponda del fiume Sumida.

I biglietti vengono messi in vendita circa due mesi prima del torneo e vanno spesso esauriti con molto anticipo, specie per le giornate di apertura e di chiusura e per i weekend. Meglio quindi muoversi con anticipo e scegliere giorni feriali.

Per l’acquisto si può andare sul sito ufficiale.

Ci sono due categorie principali di biglietti: i box e le sedie.

I box sono dei quadrati di tatami che possono accogliere fino a 4 persone (piccole), e sono divisi in A, B e C a seconda della vicinanza al ring (quelli A sono i più vicini). I biglietti in questo caso si comprano “a box” e non a persona.

Le sedie si trovano invece sugli spalti, quindi più lontano, e sono acquistabili individualmente. Costano meno e vanno esaurite un po’ più tardi.

Il biglietto vale per l’intera giornata, ma a meno che il sumo non sia la tua passione, ti consigliamo di vedere solo la parte pomeridiana, quando si affrontano i lottatori più famosi.

Un’occasione meno formale per godersi il sumo al di fuori dei tornei ufficiali sono le tournée. Qui si può assistere a incontri amichevoli, a dimostrazioni di acconciatura dei rikishi e alla presentazione in chiave comica di mosse proibite, oltre che vedere come viene indossata la tsuna (la corda bianca cerimoniale che, pesando tra i 15 e i 20 kg, richiede l’aiuto di varie persone per essere legata). 

Di solito le tournée di aprile si svolgono nel Giappone centrale, quelle di agosto nel nord (Hokkaido e Tohoku), quelle di ottobre a sud e quelle di dicembre nelle isole più meridionali (Kyushu e Okinawa).

Infine, a Tokyo è possibile assistere agli allenamenti in alcune delle heya, le palestre.

uno stadio di sumo con pubblico sugli spalti, ring al centro sormontato da un tetto e arbitro sul ring in abiti dorati
L’atmosfera durante un torneo di sumo

Come si svolge un incontro di sumo?

In ogni giornata, gli incontri si svolgono in ordine d’importanza crescente.

Nel pomeriggio, i lottatori Makuuchi entrano sul ring con una breve processione e cerimonia indossando i keshō mawashi, delle specie di grembiuli decorati e ricamati.

Subito dopo si svolge la cerimonia di ingresso dello Yokozuna. Questo è uno dei momenti centrali della giornata, ma anche un importante elemento di collegamento con gli antichi riti per il raccolto. Nella cerimonia, lo Yokozuna indossa la tsuna, una cintura bianca di canapa arrotolata con strisce di carta a zig-zag simile alle corde che si vedono nei templi shintoisti. Sale sul ring accompagnato da altri due lottatori: uno che lo precede (Tsuyuharai) per liberare la strada e l’altro (Tachimochi) che porta la katana per difendere lo Yokozuna. Nella parte centrale della cerimonia, lo Yokozuna, semiaccovacciato con i piedi divaricati, compie dei movimenti rituali che seguono solitamente due varianti: Unryū (tiene un braccio allungato e uno piegato con la mano sul fianco, a simboleggiare una postura difensiva e offensiva allo stesso tempo) o Shiranui (entrambe le braccia sono sollevate e aperte a simboleggiare una forma di sumo improntata all’attacco). 

Anche l’inizio di ciascun incontro segue una sequenza ben codificata. Innanzitutto i lottatori salgono sul dohyō ed eseguono la classica mossa (shiko) in cui sollevando un piede e lo sbattono a terra. Poi vanno ai rispettivi angoli,  si purificano la bocca con l’acqua della forza (chikaramizu) e si passano sul corpo la chikaragami (carta della forza). I rikishi delle due massime divisioni (Makuuchi e Jūryō) gettano del sale sul dohyō per purificarlo. Dopodiché si mettono in posizione accovacciata (sonkyo). Eseguono quindi il chirichozu: aprono le braccia con le mani aperte per mostrare che non hanno armi e che combatteranno onestamente. Si posizionano poi uno davanti all’altro e rifanno lo shiko. Questo serve per scacciare i demoni, ma anche come riscaldamento. A quel punto ha inizio una fase molto importante: la preparazione rituale (shikiri), dove meglio si capisce l’importanza del ki (lo spirito) in questa disciplina. I due sfidanti, in posizione accovacciata, si guardano, si concentrano, cercano di sincronizzare il proprio respiro con quello dell’avversario e di ottenere un vantaggio psicologico. Questo può richiedere vari tentativi. Lo scontro ha inizio quando i rikishi si sentono pronti e si lanciano alla carica, senza che ci sia alcun segnale dall’arbitro.

Questa natura poco dinamica rende la shikiri difficilmente comprensibile e anche poco evidente a occhi inesperti, ma se si guarda con attenzione, in quei pochi istanti è facile avvertire un’enorme energia che cresce fino a esplodere nella carica.

È un momento decisivo in cui il rikishi deve dare tutto se stesso: la carica è decisiva, e spesso i match si chiudono in pochi secondi.

Per finire, ogni giorno, dopo gli incontri, si svolge la cerimonia dell’arco, in cui un rikishi fa volteggiare abilmente un arco. 

un lottatore di sumo di schiena, uno di fronte con una gmba sollevata verso il soffitto. A sinistra l'arbitro controlla.
Un lottatore durante l’esecuzione dello shiko

Speriamo che questo articolo ti sia stato utile per conoscere il sumo e destreggiarti nell’acquisto dei biglietti. Se ti è venuta voglia di salire su un aereo per assistere a un incontro, contattaci per dare vita insieme al tuo viaggio personalizzato, oppure dai un’occhiata ai nostri viaggi di gruppo! Ti aspettiamo!

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