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ToggleSempre più persone nel mondo praticano la meditazione.
In questo articolo vorrei introdurti brevemente alla pratica dello zazen (座禅), la meditazione seduta del buddhismo zen. Ti spiegherò anche come provarla a casa, ma ovviamente potrai sperimentarla anche nel tuo viaggio in Giappone!
Cominciamo col dire che il termine zazen è quello utilizzato nello zen per indicare la meditazione. Col termine zen (禅) ci riferiamo a un insieme di scuole buddhiste giapponesi provenienti, per dottrine e lignaggi, dalle scuole cinesi del buddhismo Chán (periodo Kamakura, 1185-1333), a loro volta fondate, secondo la tradizione, dal leggendario monaco indiano Bodhidharma nel 520 d.C.
Lo zazen è una pratica che ha la funzione di risvegliarci alla “vera vita” attraverso l’acquisizione di un nuovo punto di vista sul mondo e sull’esistenza umana che guarda all’essenza delle cose.
Il risveglio avviene attraverso il superamento dei nostri condizionamenti e attaccamenti che alterano le nostre percezioni su ciò che ci circonda e su noi stessi. Ciò porta all’illuminazione: il satori.
Abbiamo l’abitudine di pensare logicamente secondo le regole del dualismo (bene/male; tu/io, vita/morte…). Liberarsene è fondamentale per la pratica zen: io e te sorseggiamo una tazza di tè, ma in quell’atto, apparentemente uguale per entrambi, può esistere una grandissima differenza tra il tuo bere e il mio bere, poiché un atto uguale cela una modalità soggettiva. Nel tuo bere potrebbe non esserci zen (potresti avere la mente che vaga in altri pensieri, senza consapevolezza di ciò che stai facendo nel qui e ora), mentre il mio bere può essere completamente consapevole, in tal caso è pieno di zen. Il motivo è che tu ti muovi in un cerchio logico e io ne sono fuori.
Sebbene, in realtà, non ci sia nulla di nuovo nel cosiddetto “nuovo punto di vista” dello zen, l’acquisizione di questa consapevolezza è nuova, e nello zen è chiamata satori (wu in cinese). Senza di esso non c’è zen, perché la via dello zen inizia con “l’apertura del satori“.
Il satori può essere quindi definito come un’intuizione, in contrasto con la comprensione intellettuale e logica. Il satori è il dispiegarsi di un nuovo mondo fino ad allora non percepito nella confusione di una mente dualistica.
Ma parliamo ora del nostro argomento specifico: lo zazen.
Cosa significa la parola zazen?
La parola zazen è costituita dalle parole giapponesi za, sedersi, e zen. La parola zen proviene dal cinese chán che, a sua volta, è una traslitterazione della parola sanscrita dhyana, il cui significato letterale è “visione”, ma che spesso viene tradotta, erroneamente, con meditazione.
È un sedersi “semplicemente”, nel senso che è così che ci si pone per praticare questo tipo di meditazione: con semplicità, senza scopi e aspettative, senza volere nulla o pensare. Ed è proprio in questa semplicità che risiede la grandissima difficoltà della pratica stessa: quando ci si siede in posizione zazen, si abbandona l’Io coi suoi saperi e le sue convinzioni per entrare spogli nella pratica del “non-sapere”.
Sedersi nella postura di zazen è quindi una maniera di fare l’esperienza del semplice “essere” nel mondo, abbandonando l’atteggiamento carico di intenzioni sul “divenire”, che forma una così grande parte delle nostre attività quotidiane, non consentendoci di stare sul qui ed ora.
Relazione tra meditazione zazen e meditazioni buddhiste
Prima della nascita del Buddha Gautama (566 a.C.- 486 a.C.) esistevano diverse forme di meditazione, ad esempio quelle dello yoga.
Nella meditazione buddhista, da cui evolve lo zazen, è importante la pratica dello stare seduti nella medesima postura e nel medesimo stato fisico e mentale del Buddha Gautama. In questa postura si ha l’esperienza del dharma (l’ordine cosmico), ossia si vive la semplice realtà che ci sta di fronte, tale e quale, senza più il minimo filtro del pensiero, della speranza, delle intenzioni, delle ambizioni, dei gusti e dei disgusti.
Di cosa si ha bisogno per praticare lo zazen?
Lo zazen richiede uno spazio minimo, quel tanto che basta per potersi sedere a gambe incrociate.
Nello “Shobogenzo”, Eihei Dogen (1200-1253), monaco buddhista giapponese e fondatore della scuola zen Soto, descrive le condizioni ideali per praticare zazen: “Per sedersi in zazen, serve un posto tranquillo. Preparate uno spesso tappeto su cui sedere. Non permettete che entrino il vento e il fumo. Non permettete neanche alla pioggia e alla rugiada di introdursi. Mettete da parte una zona che contenga il corpo. Il luogo dove sedersi dovrebbe essere chiaro (luminoso). . .”
Noi menzioneremo altri elementi utili, ma non obbligatori, per la pratica:
lo zafu è un cuscino tondo che si può utilizzare per la seduta. Uno zafu medio misura da 30 a 40 centimetri di diametro, con una circonferenza all’incirca di 115 cm. Non deve essere troppo morbido. Come dicevamo, è possibile praticare senza zafu, servendosi di una coperta ripiegata più volte, di un copriletto arrotolato o di un paio di cuscini abbastanza rigidi.
Lo zabuton è un tappeto su cui si può porre lo zafu. Il pavimento della maggioranza delle case moderne è duro, e sarebbe meglio porre una base alla seduta per renderla più comoda.
Si può praticare zazen anche sul letto, a patto che il materasso sia abbastanza rigido, ponendo una coperta arrotolata o dei cuscini al posto dello zafu.
Come si pratica la meditazione zazen? Cosa sono le posizioni del “loto” e del “mezzo loto”?
Per praticare questo tipo di meditazione secondo tradizione si pongono il tappeto e lo zafu per terra, a circa 90 cm da un muro in tinta unita, quindi si pratica con la faccia rivolta al muro (ma non in tutte le scuole zen).
Ci sono due stili per sedersi: “mezzo loto” e “loto”, e sono entrambi validi.
Quello più facile per i principianti è il “mezzo loto”. Si pratica così: ci si siede con i glutei posti al centro dello zafu, faccia al muro. Si piega un ginocchio e si porta il piede il più vicino possibile allo zafu. Si piega l’altro ginocchio all’infuori di modo che il suo lato esterno tocchi il tappeto poi si pone il piede sulla coscia dell’altra gamba piegata. Inutile dire che inizialmente può essere doloroso. Per questo, in corso di meditazione, si può cambiare lato, ponendo l’altro piede sull’altra coscia.
Praticare regolarmente costituirà una sorta di allenamento, per cui questa postura diventerà più agevole e naturale. Va inoltre considerato che, se anche si riuscisse a mantenere la posizione, sedersi sempre nello stesso modo potrebbe sbilanciare il bacino, quindi si può cambiare il lato di volta in volta.
La postura più complessa è il “loto”, che è quella standard e più avanzata per lo zazen.
Ci si pone in “mezzo loto”, poi, mantenendo un piede in posizione sulla coscia, si afferra l’altro piede e si solleva sulla coscia opposta. Le gambe risulteranno incrociate con i piedi sulle cosce e le ginocchia toccheranno il tappeto.
Questa posizione, che sembra scomodissima e innaturale inizialmente, con la pratica diventerà comodissima. Infatti, se si pratica il “mezzo loto” per un certo periodo, il “loto” risulterà più rilassante per gambe e caviglie.
Le mani hanno una precisa posizione: una volta sistemate le gambe, si pongono le mani in grembo, una sopra l’altra, con i palmi rivolti verso l’alto e con le dita della mano sottostante che sostengono quelle della mano sovrastante.
Se il piede destro sta sopra la gamba sinistra, allora la vostra mano sinistra dovrebbe essere posta sotto la destra, e viceversa.
Si incurvano le mani formando un ovale e si fanno toccare i pollici, che si dovrebbero incontrare all’incirca all’altezza dell’ombelico, e dovrebbero essere appoggiati leggermente contro il corpo.
Le braccia vanno mantenute leggermente staccate dai fianchi, e si rilassano le spalle.
Testa e collo: una volta posizionate gambe e braccia, si distende la schiena verso l’alto e si fa oscillare piano piano la testa da destra a sinistra e avanti indietro finché si sente il proprio peso al vertice della colonna vertebrale. La schiena ha una curvatura naturale mentre si fa questo: bisogna bilanciare il peso ma senza forzarla. Questo è un punto molto importante della pratica zazen, poiché spesso si tende a curvare la schiena in avanti, sbagliando.
Mantenere la parte bassa della schiena dritta a volte richiede uno sforzo iniziale, perché si devono contrastare le abitudini quotidiane. Per fare ciò si spingono i glutei verso l’esterno e il ventre in avanti.
Ricordiamo che l’equilibrio va cercato. La testa va bilanciata al vertice dalla colonna vertebrale: si tira leggermente il mento in giù e indietro, e si stende il collo in alto come se si fosse legati da una cordicella legata al vertice del cranio. In questa postura, si oscilla piano piano da destra a sinistra e da sinistra a destra fino a trovare la posizione di equilibrio nel mezzo. Il corpo non deve pendere né a destra né a sinistra, né in avanti né indietro.
Mantenere naturalmente dritta la schiena è l’essenza dello zazen.
Mantenere dritta la schiena permette di entrare in uno stato calmo e bilanciato di corpo e mente.
Per quanto riguarda la bocca, questa va chiusa e vanno serrate le mascelle, sempre senza forzature. Si respira normalmente attraverso il naso e non c’è bisogno di contare i respiri. La lingua si appoggia naturalmente contro i denti.
Gli occhi si possono mantenere aperti in modo naturale, non devono essere né spalancati né socchiusi innaturalmente. Si può porre lo sguardo su un punto del muro a circa un metro davanti a noi, guardando in giù a un angolo di circa 45º, tenendo a fuoco il punto.
Ecco fatto! Ora puoi provare anche tu a cimentarti nello zazen. Questa era solo una piccola introduzione, ma spero ti abbia incuriosito e stimolato a iniziare una tua pratica!
Buona meditazione!